Cinghiale in umido

PORZIONI: 4 persone

CALORIE: 128 kcal per porzione

DIFFICOLTÀ: Facile

Una ricetta millenaria

Quella del cinghiale in umido è una ricetta che fa parte della tradizione italiana da tempo immemore e che è stata, quindi, rivista e riadattata in infinite varianti lungo tutto il territorio. E non è finita qui, perché persino all’interno di una stessa regione possono esserci divergenze sulla preparazione di questa pietanza. L’unica caratteristica comune a tutte le ricette è infatti solo una: la pazienza.

È vero, la ricetta del cinghiale in umido sfida la tolleranza di molti, perché la carne è selvatica e deve quindi essere rigorosamente lavata e pulita, cosa che porta via svariate ore di tempo, ben 12, ma, come dicono le nonne, più sono e meglio è. Le fasi di pulitura e marinatura fanno veramente la differenza quando si parla di cucinare la cacciagione, e il cinghiale non fa eccezione.

Questo piatto, inoltre, è indissolubilmente legato anche ad altri elementi tipici del nostro territorio, come il ginepro, l’alloro e la salvia o il timo, e viene quasi sempre accompagnato dalla polenta, altro nostro antichissimo alimento quasi sempre a base di farina di mais. Ognuno degli ingredienti citati è essenziale per creare quella sinfonia di sapori e aromi che solo un piatto come il cinghiale in umido sa emanare. Ad ogni modo, nella versione che proponiamo, abbiamo deciso sia di aggiungere un po’ di cacao e germogli di girasole, sia di accompagnare il piatto con polenta fritta, piuttosto che classica. Il nostro piccolo e innovativo contributo alla nostra immensa tradizione.

Preparazione: 12h 20min

Cottura: 4h

Tempo totale: 16h 5min

Ingredienti

1 Kg / Spezzatino di cinghiale
750 ml / Vino rosso
400 gr / Polpa di pomodoro
2 / Cipolle
1 Lt / Brodo di carne
2 / Coste di sedano
4/ Foglie di alloro
3/ Chiodi di garofano
2 / spicchi d’aglio
3 / Bacche di ginepro
2 / Rametti di rosmarino
1 / Ciuffo di salvia
60 ml / Olio evo
q.b. / Cannella in polvere
q.b. / Pepe nero
q.b. / Noce moscata
q.b. / Peperoncino
q. b / cacao
q. b / Germogli di girasole
q. b / Polenta fritta

Procedimento

  1. Come anticipato la prima cosa da fare è lavare e pulire la carne di cinghiale. La particolarità, in questa operazione, è che non deve essere mai e poi mai usata l’acqua ma altre sostanze liquide, come il vino o il latte, ad esempio. Prendete quindi la carne, tagliatela a piccoli bocconcini di circa 2/3 cm e versatela in una grande terrina, poi tritate una carota, una cipolla e una costa di sedano e aggiungeteli alla carne insieme agli aromi: i tre chiodi garofano e le tre bacche di ginepro, qualche foglia di salvia, un rametto di rosmarino, due foglie di alloro e un po’ di pepe nero in grani. Versate poi un buon vino rosso (non troppo vecchio e senza difetti), ricoprite con un panno o coperchio e lasciate riposare per almeno dodici ore.
  2. Trascorso tempo di marinatura scolate la carne buttando via tutto il resto: vino, odori e aromi. Prendete quindi un ampio tegame e versateci dentro la carne, poi cospargetela di sale grosso e accendete un bel fuoco medio; aspettate finché il cinghiale non inizierà a spurgare acqua, quindi scolate e ripetete per altre due o tre volte, o almeno finché, così facendo, dalla carne non uscirà più acqua. Questa spurgatura è necessaria, in quanto altrimenti la marinatura soltanto non è in grado di togliere il tipico sapore selvaggio dalla carne del cinghiale.
  3. A questo punto tritate gli odori rimasti da usare ed essenziali per cucinare la carne: una cipolla, una costa di sedano e una di carota, e due spicchi d’aglio. Prendete anche una pentola e preparate il brodo di carne che servirà più avanti. Quando la carne non farà più acqua, scolatela e lasciatela nello scolapasta per un momento. Prendete la padella e rimettetela sul fuoco con l’olio e gli odori tritati più il rametto di rosmarino, la salvia e l’alloro interi. Fate rosolare per almeno venti minuti e poi versateci nuovamente la carne, quindi mescolate bene e sfumate il tutto con un bicchiere di vino rosso.
  4. Aggiungete quindi la polpa di pomodoro, rimuovete le foglie di odori (rosmarino, salvia, alloro) e coprite il tutto con il brodo di carne preparato in precedenza (in alternativa al brodo si può usare semplice acqua calda ma, così facendo, si otterrà un gusto più scialbo). Poi coprite il tegame quasi del tutto col coperchio e iniziate la cottura avendo cura di mantenere un fuoco dolce, così che la carne cuocia sobbollendo e borbottando. La cottura durerà tra le tre e le quattro ore, a seconda del taglio di carne e dell’età dell’animale. Come dicevamo, la chiave per questa ricetta è la pazienza: non bisogna avere fretta e aspettare che la carne diventi tenera.
  5. A circa metà cottura aggiungete il sale e il peperoncino e da questo punto in avanti ricordate di mescolare con sempre più frequenza, per fare in modo che la carne si sfaldi piano piano. Non appena riterrete il piatto quasi pronto, aggiungete la noce moscata e la cannella, controllate nuovamente il sale e il pepe e fate restringere il sugo lasciando la carne finire di cuocere senza coperchio. Attenzione: il sugo deve comunque rimanere in quantità sufficiente da poter accompagnare la carne, non va, quindi, fatto asciugare del tutto. Guarnite con un po’ di cacao, germogli di girasole et voilà, il cinghiale in umido è pronto. Servitelo caldo o tiepido a seconda del gusto ma non dimenticate di guarnirlo con una buona dose di polenta fritta. Buon appetito!

Lo sapevi che..

Il cinghiale è un animale che l’uomo ha mangiato sicuramente fin dall’antichità, e la sua preparazione in umido è così datata che se ne trovano cenni fin dai tempi degli antichi Romani. Esiste infatti un documento, risalente al 1° secolo d. C. (il Satyricon, di Petronio Arbitro), in cui il cinghiale in umido appare tra le vivande servite ai famosi banchetti di uno dei senatori del tempo: Trimalcione. Questo modo di cucinare l’animale è poi sopravvissuto a tutte le epoche successive, adattandosi di volta in volta agli usi e costumi. Se, infatti, nella roma antica era una pietanza servita ai banchetti, nel Medioevo, ad esempio, era invece per lo più consumata da contadini che, abitando in campagna o limitrofi ai boschi, reperivano la materia prima in grandi quantità.

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